Se un gioco
fosse un giogo,
saremmo tutti vinti.
Ma se un giogo
fosse un gioco,
il mondo intero
potrebbe rivoltarsi
come un atto dissacrante,
irriverente.
Susanna Barsotti, Acquerello su spartito
Se un gioco
fosse un giogo,
saremmo tutti vinti.
Ma se un giogo
fosse un gioco,
il mondo intero
potrebbe rivoltarsi
come un atto dissacrante,
irriverente.
Susanna Barsotti, Acquerello su spartito
C’è un cielo tappezzato di sogni
e le stelle ammantate di bianco
come se mancasse l’aria.
Cigola la mia amaca,
io contemplo estatica il silenzio.
Tutti dormono.
Tento di immaginare l’inconosciuto,
ma mi coglie una nostalgia erosiva.
Vorrei una sospensione,
ma l’assenza di tensione
non riduce il varco.
Si potrebbe optare
con un soppesare,
ma ho dirupi al posto di canali.
–
Essere è un gioco da ragazzi
che riesce solo ai bambini
e agli amanti.
Acquerello di Susanna Barsotti
“Sono” sta in superficie.
Sporgiti verso il fondo
e sprofondi.
Nella conta di gobbe letterali
confini dell’essere.
Foto di Estéban Puzzuoli
Raccontami cosa si prova
a portare alla bocca un bicchiere
calibrando bene il moto e il peso
tra labbra e polso,
e bere. Raccontami
com’è camminare
sentendo la terra sotto la pianta
e la tensione dei muscoli così leggeri,
correre e saltare.
Raccontami, se lo ricordi ancora,
il tempo in cui si gattona
e quello di un morso
alla mela mentre gocciola il succo sul braccio.
Raccontami, dal ricordo di un’immagine o d’invenzione:
com’è pettinarsi
e farsi scivolare un abito di seta,
mettersi il rossetto
per ammirare poi lo spettacolo della maschera.
–
Se allo specchio non ci riconosciamo
è perché non ci conosciamo;
se, pur vedendoci, non ci vediamo,
è perché vediamo.
La conoscenza sprofonda nel sonno,
la visione è cieca.
Solo l’anima conosce,
ma è una stella polare direttiva e altissima,
è una colonna vertebrale scissa,
avvolta nel bozzolo della cecità e rimozione.
–
Io con te non avrei fatto l’amore:
mi sarei scambiata l’anima.
Sul letto uno sopra l’altro
al bordo dell’abisso ridendo.
Contando le stelle per metterle in saccoccia
illudendoci d’eterno.
Ti avrei chiesto un’intervista a me stessa
dove io avrei scritto le domande
e tu le mie risposte.
Come due fanciulli,
come quando ci siamo lasciati.
Foto di Susanita
Vorrei scriverti una lettera,
ma ho perso l’indirizzo
di te di cui in fondo
mi è rimasto solo questo.
Sarebbe come un muro al pianto,
deporla lì in un fosso,
se solo ci bastasse,
la risposta del silenzio.
Ma proprio questo qui è l’amore
mio, tuo, dell’universo
e di ogni suo riflesso?
Quanti mila di miliardi di stelle all’infinito
per vederne sù due, tre
indicarle con il dito.
–
Vorrei scriverti una lettera,
un’altra, sì, una ancora
perché sono ferma lì,
non riesco più ad andare
via da dove ho perso te.
Tu sei sceso giù nel fondo
dove il profondo è denso
del dolore di un abbraccio
del tremore di un conforto.
Tu sei sceso nel profondo
dove io stessa non ho nome,
ma soltanto un eco antico
del riflesso del tuo cuore.
Quel che ho stretto qui in mano
così forte da strappare,
vigoroso e palpitante
di amaro addensare.
Quel che ho visto come specchio:
tu che mi hai svuotato tutto,
io che ti ho donato il meglio.
–
Tu hai aperto un tempo nuovo
di me che non conosco:
cosa resta del mio cuore,
un deserto senza nome
in cui non lascio penetrare
più neanche un petalo di fiore?
–
Non avrei scritto questo a te,
animo mio, no, di certo,
ma ti avrei raccontato
di un giorno di Agosto
In cui io immersa in mare
mi ritrovo tutta intera
e nel petto scopro un punto
dove tempo ed eterno
coincidono in cerchio.
–
Non so più dove tu sei,
ma di te ho io un pezzo.
Foto di Susanita