“Nascere è più terribile, più violento, più assurdo che morire; l’esplosione della materia nel Big Bang, che si diffonde con inauditi cataclismi per creare innumerevoli vite effimere e dolorose, è più spaventosa della lenta entropia in cui forse si spegnerà, dolcemente e stancatamente, l’universo, simile al decrepito e svanito ricoverato in una casa di riposo. La palla di fuoco che nei primordi si dà forma tra nubi di gas, eruzioni e collassi è più inimmaginabile e paurosa della fine del mondo tante volte rappresentata come diluvio o come rogo, immensi ma ancor pur sempre umani, abbracciabili con la nostra mente.
Anche la nascita di un bambino espulso dal ventre materno è un’irruzione nel mondo più sconvolgente, più inconcepibile dell’uscita dal palcoscenico alla fine dello spettacolo.
L’arte, in quanto creazione, partecipa di questa violenza, di questo squarcio insito in ogni atto generativo che estrae qualcosa dal nulla, che stupra il non essere, il nulla.
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Come la creazione divina, l’opera poetica include, evoca, dice il non-essere da cui proviene, il nulla da cui scaturisce, il vacuum che c’è non solo dietro, prima, ma anche dentro ogni fiat. Ogni creazione è tremenda perché rivela e comunica lo sconvolgimento delle origini; il caos selvaggio, informe e inumano da cui nascono la vita e la forma. La morte e la fine sono terribili, ma sono pur sempre il prevedibile o quanto meno inevitabile finire di una persona o di una realtà umana, avvengono in un contesto in qualche modo conosciuto, che la ragione può pensare. Il niente che vibra nell’origine- e dunque in ogni creazione, che è a suo modo originaria- è rabbrividente perché assolutamente non-umano, impensabile, radicalmente altro rispetto a tutto ciò che pensiamo, sentiamo, desideriamo, temiamo, immaginiamo. Ogni creazione dunque vince il niente ma insieme lo scatena, lo introduce nel mondo; è anche un buco aperto nel reale, uno squarcio, una falla.” Claudio Magris
Corriere della sera 6/4/2003
Sulla vita, sulla poesia, sull’arte.