Un velo, fruscia tenue.
Ruvido di tela sulle dita umide. Non tela forse, tessuto fitto, come di sacco. Raggela, aspro e pungente, a modo del dimenticato. Gela al tatto.
Nondimeno ruvido, rude di memoria passata e sconosciuta.
Calcareo sapore d’olfatto o di gusto, difficile scindere.
Emerge Antico, un antico che mi appartiene.
Grossa e improvvisa s’inerpica una linea di calore sul palmo.
Piano ora risulta lo sfioro e leggero: calore possente, calore che scema. Forse solo polvere, sbiadito o ombra. Più piano, finissimo, scorre il mio sentire. Pare lucente.
Lucide, rischiarate quasi bianche: parole. Circonvoluzioni e intrighi, lettere sicure.
Lettere incise.
Come appare d’oro la parola, penetrante! Già muovono le labbra e pare udire voce o sussurro.
Discorsi da tempo in noi, sognati e interiori.
Eppure strana la lettura sotto le dita, strano leggere solo un sentire.
Sfugge il senso. Pure all’occhio sfugge un senso che non sia il sentire.
E pure l’occhio sente.
Senso dei sensi? Anche l’anima ha forse una sua pelle.
Svetta un gelo improvviso ancora, nel lucente fluire. Polvere, vuoti lontani o chissà.
Ombre.
Ondeggia nel giorno limpido un velo.