Scende la notte sulle vallate della mia contrada,
scende come acqua ad un dirupo,
come pioggia irruente, necessaria.
E io la vedo scendere e lei scende.
E più la vedo scendere e più scende.
Sarà forse un miraggio dei miei occhi?
Cado e non riesco ad alzarmi,
cado e non ricordo più il sorgere
e non vedo l’appiglio.
Non c’è, lui non c’è…
–
Ricordo la croce, eccola.
Danzo con lei ed è leggera
e non l’avverto, io non l’avverto.
Sono lei e lei è me.
Non sono lei, lei non è me.
Specularità e voragine
questi passi distanti,
questo valzer di parallele,
questo abbraccio-piroetta.
Danzo con lei e non ricordo,
io non la ricordo.
–
La mia croce è una finestra,
al riflesso dei tuoi occhi mi inabissa,
cade al suolo della ragione.
Non ascolto la notte, la mia notte,
ascolto la tua.
Tu che sei la mia finestra
ed un filo sottilissimo di stelle
a tenerci.
Miriadi di ricami fanno le costellazioni.
Una caverna ha l’eco esatto del tuo nome,
dove mi trovi tu.
–
Dove rimbomba quel battito, il tuo,
e traboccando si colma in un silenzio,
il suo tumulto e mostruoso nero
che inabissa te ed alla riva
tremante cuore nudo, resta, di sentire.