Io sono una fenice

Siamo così vicini che il tuo fiato

è alla mia bocca.

È forse l’origine del mio canto?

Siamo così lontani che non ho più

negli occhi il profilo del tuo volto.

È forse un principio di beatitudine?

Ci siamo scambiati il flusso dell’animo

perpetuabilmente

come due otri connesse da un canale:

sono pervenuta al tuo fondo?

Ti ho fatto rinvenire i miei relitti?

Tu hai le chiavi di tutte le mie porte.

Puoi aprirmi il ventre

per vedere cosa ho digerito e cosa no.

Puoi aprire l’utero

per vedere cosa ho partorito e cosa ho abortito.

Puoi aprirmi i polmoni e sentire

cosa mi irrora e cosa mi soffoca.

Puoi disserrare l’ugola per scorgere dov’è

sospesa la voce mia.

Dal naso puoi assaggiare i miei profumi

e dagli occhi contemplare le mie visioni.

Puoi sciogliere ogni serratura della mia mente

e attraversare di membrana in membrana,

fino al midollo, tutto il mio abisso.

Puoi sciogliere le cosce

per afferrare sogni di cavallerizza.

Puoi liberare i piedi

e abbracciare l’ambizione di funambolo.

Puoi districare ogni mia vertebra

e piroettare nel mio mondo di danzatrice.

Tu puoi uccidermi.

Tu puoi salvarmi.

E so cos’hai deciso.

Ma tu non sai che,

sebbene la vita è un gioco a carte,

e le piume non siano infinite,

io sono una fenice.

Puoi spalancarmi il cuore

e leggerne ogni segreto

ignoto a me stessa.

Un solo nome lucente:

il fiore più occulto

e audace di me

ti attende.

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Foto di Estèban Pozzuoli

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