
Gelo su gelo come potenza ennesima. Brina fosca e nebbiosa.
Moti umani ennesimi (o formicai?) si ergono a lunghe torri fumanti, luccicanti, psichedeliche. Troni al cielo di verità sofistiche: sofisti di New York e cenere di una qualche Atene.
Virtuali circhi di funamboli e trapezisti a solletico delle nuvole, di fumo.
Iperazionalità dove il sonno era forse meno mostruoso di questi Cerberi cannibali.
Gelo ennesimo, nebbioso e nebuloso.
Oh silenzio in ogni sfumatura! L’orizzonte è d’alluminio, né più una scheggia: unica lamina liscia lucida piatta, ricoperta dalle sospese circonvoluzioni acrobatiche.
Oh pace del monocromo!
Usurpato, già usato tutto. Scoperto e disvelato il dettaglio.
Stanca la totalità ora, frontiere inconsistenti. Ora atterrisce il profondo, penetrazione al fondante (Qanat?). Aborre il pensiero.
Erose le colonne, che più?
Soavità dello sguardo in sé stesso, silente e muto!
Essere e non essere: riposa Amleto giunto il tempo del silenzio.
Libidine della mente che, cullata, ondeggia in mondi lampo!
Esoterismo di contorni ennesimi e sfumature ripetute, identiche come riflesse.
Intelletto googleiano.
Oh libidine, il fluorescente e ronzante ondeggiare!
Aesthetica e Anaesthetica.
Fragranze di primordiali graffiti su pietra, negli arcani vani dell’intimo sussurri.
Freschi arcobaleni.
Serenità al progresso: soavità dello sguardo in sé stesso.
Cerberi e gelo. Aesthetica e Anaesthetica.