Raccontami cosa si prova
a portare alla bocca un bicchiere
calibrando bene il moto e il peso
tra labbra e polso,
e bere. Raccontami
com’è camminare
sentendo la terra sotto la pianta
e la tensione dei muscoli così leggeri,
correre e saltare.
Raccontami, se lo ricordi ancora,
il tempo in cui si gattona
e quello di un morso
alla mela mentre gocciola il succo sul braccio.
Raccontami, dal ricordo di un’immagine o d’invenzione:
com’è pettinarsi
e farsi scivolare un abito di seta,
mettersi il rossetto
per ammirare poi lo spettacolo della maschera.
–
Se allo specchio non ci riconosciamo
è perché non ci conosciamo;
se, pur vedendoci, non ci vediamo,
è perché vediamo.
La conoscenza sprofonda nel sonno,
la visione è cieca.
Solo l’anima conosce,
ma è una stella polare direttiva e altissima,
è una colonna vertebrale scissa,
avvolta nel bozzolo della cecità e rimozione.
–
Io con te non avrei fatto l’amore:
mi sarei scambiata l’anima.
Sul letto uno sopra l’altro
al bordo dell’abisso ridendo.
Contando le stelle per metterle in saccoccia
illudendoci d’eterno.
Ti avrei chiesto un’intervista a me stessa
dove io avrei scritto le domande
e tu le mie risposte.
Come due fanciulli,
come quando ci siamo lasciati.
Foto di Susanita