Che della solennità di un inno tu non sia rigore,
ma piana poesia, distesa sul giorno,
su quel reale un po’ sbilenco,
sulle venature crepate,
sui spifferi di freddo,
la suola imbrattata.
Che tu sia d’essere aperta,
di protezione come pelle che respira,
che dà forma e che muta,
cresce e invecchia.
Piena di varchi e feritoie e cicatrici
che tu sia del colore del riflesso
come il mare che accoglie il cielo e ogni volto.
Memoria della vita
quanto l’unico strumento dell’incontro
è nella carezza la ferita,
che tu possa rimarginare in fretta,
far la muta, risorgere in te stessa
e lavarti da ogni grumo
mai ferma.
Essere sempre nuova e sempre vecchia,
come nel vino giovane aroma della botte secca.
Trasformare di visione perenne:
la colpa in dono,
la mancanza in vicinanza,
l’assenza in presenza,
la sconfitta in vittoria,
il complesso in semplice parola.
–
Che tu sia poesia, coltre di sentire,
frammento svanente
nel cuscino della mente.
Illustrazione di Francesca Filomena